Codice di Procedura Penale art. 449 - Casi e modi del giudizio direttissimo 1 .

Andrea Pellegrino

Casi e modi del giudizio direttissimo1.

1. Quando una persona [25 min.] è stata arrestata in flagranza di un reato [380-383], il pubblico ministero, se ritiene di dover procedere, può presentare direttamente l'imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento [405], per la convalida e il contestuale giudizio [138 att.], entro quarantotto ore dall'arresto. Si applicano al giudizio di convalida le disposizioni dell'articolo 391, in quanto compatibili [233 coord.]2.

2. Se l'arresto non è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Il giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l'imputato e il pubblico ministero vi consentono.

3. Se l'arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio. Nel caso di arresto effettuato ai sensi dell'articolo 380, comma 3, il giudice, se l'arresto e' convalidato, quando manca la querela e questa puo' ancora sopravvenire, sospende il processo. La sospensione e' revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione3.

4. Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato [391], procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in udienza non oltre il trentesimo giorno dall'arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini4.

5. Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio [65, 294, 364, 374 2, 388] ha reso confessione. L'imputato libero è citato [450 2] a comparire a una udienza non successiva al trentesimo giorno dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato [335]. L'imputato in stato di custodia cautelare [284-286] per il fatto per cui si procede è presentato [450 1] all'udienza entro il medesimo termine. Quando una persona è stata allontanata d'urgenza dalla casa familiare ai sensi dell'articolo 384-bis, la polizia giudiziaria può provvedere, su disposizione del pubblico ministero, alla sua citazione per il giudizio direttissimo e per la contestuale convalida dell'arresto entro le successive quarantotto ore, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. In tal caso la polizia giudiziaria provvede comunque, entro il medesimo termine, alla citazione per l'udienza di convalida indicata dal pubblico ministero5.

6. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso [12] con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente [18] per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione [17] risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario.

 

[1] Per una ipotesi particolare di giudizio direttissimo v. art. 8-bis l. 13 dicembre 1989, n. 401, inserito dall'art. 11 lett. g)d.l. 20 agosto 2001, n. 336, conv., con modif., in l. 19 ottobre 2001, n. 377, in tema di reati commessi in occasione di manifestazioni sportive.

[2] In relazione agli istituti della convalida dell'arresto e del giudizio direttissimo, occorre tenere conto della particolare previsione introdotta dall'art. 8 l. 13 dicembre 1989, n. 401. V. anche sub art. 233 coord.

[3] Comma modificato dall'art. 3, comma 3, l. 24 maggio 2023, n. 60, a decorrere dal 16 giugno 2023, che ha aggiunto in fine, i seguenti periodi: «Nel caso di arresto effettuato ai sensi dell'articolo 380, comma 3, il giudice, se l'arresto e' convalidato, quando manca la querela e questa puo' ancora sopravvenire, sospende il processo. La sospensione e' revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione».

[4] Comma così sostituito dall'art. 2 d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. Il testo precedente recitava: «4. Il pubblico ministero può, altresì, procedere al giudizio direttissimo quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato. In tal caso l'imputato è presentato all'udienza non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto».

[5] L'art. 2, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha inserito, in sede di conversione, le parole: «Quando una persona è stata allontanata d'urgenza dalla casa familiare ai sensi dell'articolo 384-bis, la polizia giudiziaria può provvedere, su disposizione del pubblico ministero, alla sua citazione per il giudizio direttissimo e per la contestuale convalida dell'arresto entro le successive quarantotto ore, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. In tal caso la polizia giudiziaria provvede comunque, entro il medesimo termine, alla citazione per l'udienza di convalida indicata dal pubblico ministero». L'art. 2 d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, aveva già modificato il comma, sostituendo il primo periodo, che recitava: «Il pubblico ministero può, inoltre, procedere al giudizio direttissimo nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione», e sostituendo, nel secondo periodo, la parola «quindicesimo» con «trentesimo».

Inquadramento

Il giudizio direttissimo consiste, essenzialmente, in un dibattimento instaurato direttamente dal P.m., nei casi di arresto in flagranza od intervenuta confessione dell'imputato (giudizio direttissimo “tipico”), ovvero, qualora si proceda per taluni reati, suscitanti allarme sociale (giudizio direttissimo “atipico”). In tali ipotesi, il P.m.  presenta l'imputato direttamente in giudizio, senza bisogno della previa notifica dell'avviso di conclusione delle indagini senza alcun preventivo “controllo” da parte del giudice. Delle tre fasi che, ordinariamente, compongono il procedimento penale (indagini, udienza preliminare, giudizio) il rito in questione si risolve essenzialmente nell'ultima.

Le esigenze procedimentali e le ragioni dell'istituto

La ratio del giudizio direttissimo è quella di anticipare lo sbocco dibattimentale, assicurando una più rapida definizione del procedimento.

Concepito dal codice Rocco come rimedio esperibile solo nei casi di accertamento di responsabilità rapido e agevole, ma in proiezione pur sempre della esemplarità della giustizia, tant'è che nella successiva legislazione speciale era stato previsto come obbligatorio per un crescente numero di reati fino al punto di generare un'autentica inflazione di giudizi direttissimi c.d. atipici, nell'attuale sistema il giudizio direttissimo sembra aver perduto l'originaria funzione di energica repressione assegnatagli nel previgente codice, costituendo l'esemplarità un risultato eventuale, non ricercato in via primaria, della celerità del rito: il che non toglie che, ancora oggi, l'esigenza di una più celere definizione del procedimento, finisca, il più delle volte, per identificarsi con l'altrettanto avvertita esigenza di garantire una pronta risposta giudiziaria in casi che destano grande allarme sociale.

La particolare facilità e rapidità con cui il P.m. può trarre l'imputato al cospetto del giudice sembrerebbero giustificarsi in ragione dell'evidenza probatoria cui l'arresto in flagranza o la confessione danno luogo. Tali situazioni paiono rendere superfluo il controllo sulla fondatezza dell'imputazione, normalmente integrato attraverso l'udienza preliminare, nonché le altre garanzie che ordinariamente preludono al dibattimento.

In tale prospettiva, il giudizio direttissimo costituisce un ragionevole adeguamento delle forme processuali alle caratteristiche concrete della regiudicanda penale, coerentemente con le esigenze dell'economia processuale e della ragionevole durata del processo.

In ragione di ciò, il legislatore ha deciso d'estendere l'applicazione del giudizio direttissimo anche a casi non contrassegnati da un'originaria, perspicua, chiarezza probatoria.

In primo luogo, il rito de quo è divenuto la forma per l'accertamento di reati suscitanti allarme sociale, o ritenuti particolarmente odiosi, o rispetto ai quali le comminatorie penali sembrava avessero perso capacità dissuasiva: si tratta dei giudizi direttissimi c.d. “atipici”.

In secondo luogo, raddoppiando i termini originariamente previsti per l'instaurazione del giudizio (da quindici a trenta giorni), la novella introdotta con d.l. n. 92/2008, conv. in l. n. 125/2008 ha inteso ampliare l'utilizzo del rito direttissimo “tipico”, assicurandone lo svolgimento anche in quei casi nei quali l'arresto in flagranza o la confessione non sono in grado di gettare piena luce sul quadro probatorio, essendo necessarie ulteriori indagini, purché completabili entro il mese.

Così attenuato (nel novellato rito direttissimo “tipico”) o pressoché escluso (in quello “atipico”) il legame con la qualificata evidenza della prova, l'istituto de quo trova oggi una concorrente spiegazione in esigenze di un'accelerazione procedimentale funzionale alla repressione e prevenzione dei reati; ed altresì nel bisogno sociale di tranquillizzare l'opinione pubblica, restituendo credibilità all'amministrazione della giustizia. I tempi troppo lunghi del rito ordinario vengono compensati da quelli assai brevi del giudizio de quo.

La riforma Cartabia

La riforma ha inciso in punto di giudizio direttissimo limitatamente al contenuto della citazione di cui all'art. 450, comma 3, che deve contenere anche il requisito di cui all'art. 429, comma 1, lett. d-bis, c.p.p. riguardante l'avviso della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa.

Dal 16 giugno 2023 saranno in vigore le modifiche apportate dalla L. 24 maggio 2023, n. 60 (Norme in materia di procedibilità d'ufficio e di arresto in flagranza) come correttivi ad alcune lacune della riforma operata con il D.Lgs. n. 150/2022. Si prevede sempre la procedibilità d'ufficio per tutti i reati con riferimento ai quali sia contestato l'uso del metodo mafioso ovvero l'agevolazione mafiosa, o ancora l'aggravante della finalità di terrorismo o eversione dell'ordine democratico. È introdotta la procedibilità d'ufficio anche per il reato di lesione personale, quando è commesso da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale, fino ai tre anni successivi al termine della misura stessa. È consentito l'arresto in flagranza anche in mancanza di querela che può sopravvenire; se l'istanza di punizione non interviene nelle quarantotto ore, ovvero la persona offesa vi rinuncia o la rimette, l'arrestato deve essere posto immediatamente in libertà. La querela può essere resa in forma orale alla P.G., non solo se presente nel luogo, ferma restando la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all'articolo 90-bis. Infine, per quanto qui di maggiore interesse, in relazione alla disciplina del giudizio direttissimo in caso di arresto obbligatorio in flagranza per reati procedibili a querela (art. 3, comma 3), si prevede che il giudice debba sospendere il processo nel caso in cui manchi la querela e sia pendente il termine per la proposizione. La sospensione sarà revocata non appena risulterà sopravvenuta la querela (che consentirà la prosecuzione del processo) ovvero la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione (situazioni – queste ultime – che, di contro, determineranno la sua definitiva stasi).

Profili di diritto intertemporale

In mancanza di diversa disposizione, trattandosi di norma processuale, si applica il principio del “tempus regit actum”. Si richiamano le considerazioni esposte nel par. 8.1 a commento dell'art. 438.

La specialità del rito

Il giudizio direttissimo è inserito fra i procedimenti “speciali”.

Secondo la Relazione al progetto preliminare, la specialità consiste nella divergenza strutturale delle procedure disciplinate nel libro VI dalla sequenza procedimentale ordinaria, articolata in indagini, udienza preliminare, giudizio di primo grado, eventuali impugnazioni.

Nel dibattito dottrinario, si è sostenuto che le differenze dal modello ordinario sono minime e non riguardano le linee di fondo del sistema, mentre la specialità dovrebbe risultare da una deroga profonda ai principi regolatori del processo. Al contrario, il giudizio direttissimo addirittura esalta i canoni del modello anglosassone, incentrandosi quasi completamente nel dibattimento, momento clou del rito accusatorio. Inoltre, l'omissione dell'udienza preliminare — nota distintiva del giudizio direttissimo — non caratterizza sempre tale rito nei confronti del procedimento ordinario, che ne è anch'esso privo nei casi di cui all'art. 550.

In realtà, secondo la teoria generale del diritto, sono speciali quelle norme che hanno un àmbito d'applicazione più ristretto rispetto a quello di altre; e che, rispetto a tale specifico settore, dettano una disciplina diversa da quella generale. Anche nella lingua italiana, cui l'art. 12 Preleggi impone di riferirsi, “speciale” è ciò che ha relazione con un ambito determinato, settoriale, o che presenta caratteri diversi dal comune: tale è il caso del rito in questione, riguardante soltanto alcune, specifiche, regiudicande penali, alle quali viene riservato un trattamento procedimentale diverso da quello ordinario.

Tale diversità di regolamentazione contrassegna il rito ex abrupto anche rispetto a quello ordinario nei casi previsti dall'art. 550; rispetto al quale il primo presenta cadenze temporali assai più strette, comportando l'inapplicabilità dell'art. 415-bis, nonché ulteriori, particolari, semplificazioni formali.

L'eccezionalità del rito

L'applicazione del giudizio direttissimo anche fuori dai casi di evidenza della prova ne colora l'aspetto di eccezionalità. La disciplina concernente il rito ex abrupto non si limita, infatti, a prevedere norme diverse per determinati rapporti giuridici (il che basta a qualificarlo speciale), ma introduce vere e proprie deroghe al modello procedimentale ordinario. Del resto, la stessa omissione dell'udienza preliminare, anche quando l'imputazione non nasce palesemente fondata, può infatti far dubitare circa il carattere accusatorio della procedura in commento.

Invero, solo quando risultano giustificati dalla perspicua chiarezza probatoria, l'accelerazione e la semplificazione processuale costituiscono un armonico adeguamento della forma alle caratteristiche del caso; negli altri casi, invece, esse determinano un contrasto con le linee ispiratrici del rito ordinario ed impongono la caratterizzazione di questo rito come eccezionale. Tale è, infatti, la norma che, anziché specificare una regola più generale, ne interrompe la consequenzialità logica, determinando un allontanamento notevole ed evidente dalla regola comune, in ragione d'un altro principio ispiratore o d'una qualche esigenza pratica: esigenza ravvisabile, nella specie, in istanze di politica criminale.

Il direttissimo tipico

L'arresto in flagranza

L'art. 449 prevede che il P.m. proceda con giudizio direttissimo qualora l'imputato sia stato arrestato in flagranza ovvero abbia reso confessione nel corso dell'interrogatorio, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.

Quanto alla prima di tali ipotesi, va osservato che non è tanto la flagranza in sé, quanto piuttosto il provvedimento di polizia che ne è eventualmente seguito, a costituire il presupposto per il rito de quo. Infatti, da un lato, la mera sorpresa sul fatto non consente il giudizio direttissimo, qualora non si sia proceduto all'arresto ex artt. 380 e 381. Dall'altro lato, il rito ex abrupto è ritenuto ammissibile nei casi in cui la legge prevede l'arresto al di fuori della flagranza, come accade per la fattispecie di evasione.

Analoga valenza, ai fini della procedibilità ex abrupto, non assume invece il provvedimento di fermo, che non presuppone il livello d'evidenza probatoria associato alla flagranza.

Per costituire un valido titolo ai fini del giudizio direttissimo, l'arresto deve essere stato convalidato; cioè, occorre che sia intervenuta una positiva verifica giurisdizionale in ordine alla legittimità del provvedimento di polizia.

Peraltro, qualora il P.m. abbia presentato l'imputato dinanzi al giudice dibattimentale per la convalida ed il contestuale giudizio (art. 449, comma 1), in difetto della prima bisogna comunque passare al secondo, se le parti acconsentono. Tale eventualità − assai rara nella prassi − esprime una logica dispositiva analoga a quella che ispira i riti speciali cc.dd. “negoziali”.

Non è configurabile, neanche dopo le modificazioni introdotte all'art. 449, comma 4, ad opera del d.l. n. 92/2008, convertito in l. n. 125/2008 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), un obbligo del P.m. di procedere con il rito direttissimo tutte le volte che sia convalidato l'arresto in flagranza e la scelta non pregiudichi gravemente le indagini (Cass. II, n. 36656/2010 in fattispecie nella quale il P.m. aveva chiesto il giudizio immediato in luogo del giudizio direttissimo e in cui la S.C. ha chiarito che il sindacato del giudice non può estendersi al punto di individuare il rito che il P.m. dovrebbe richiedere.

Nell'ipotesi disciplinata dall'art. 449, comma 4, il giudice del dibattimento deve limitarsi a verificare i presupposti di ammissibilità del rito speciale, costituiti dall'avvenuta convalida dell'arresto e dalla presentazione dell'imputato al giudice nel termine di trenta giorni, senza che sia necessario, ai fini della regolare instaurazione del rito, che all'arrestato sia stata applicata una misura cautelare custodiale (Cass. III, n. 19903/2019).

La mancata impugnazione dell'ordinanza di convalida dell'arresto preclude la rilevabilità, nel corso del successivo giudizio direttissimo, della nullità relativa alla costituzione delle parti e dell'invalidità derivata degli atti compiuti nell'udienza di convalida (Cass. III, n. 36945/2019, nella quale si è osservato che la fase della convalida dell'arresto è del tutto autonoma rispetto a quelle successive, con la conseguenza che un'eventuale nullità verificatasi in quella sede deve essere fatta valere con il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza ex art. 391, comma 4 e non si riverbera sul giudizio che segue).

Lo stato detentivo dell'imputato

Si afferma che il giudizio direttissimo nei confronti degli arrestati possa essere instaurato soltanto se, alla convalida del provvedimento poliziesco, sia seguita l'applicazione di una misura cautelare custodiale.

L'art. 449, nei commi 1 e 4, prevede infatti che l'arrestato sia “presentato” in udienza; evidentemente, presupponendone lo status custodiae. Soltanto rispetto al reo confesso, il successivo comma 5 indica, in alternativa, la citazione in giudizio, qualora l'imputato sia a piede libero. Inoltre, la perdurante detenzione dell'arrestato sarebbe necessaria ad assicurarne la presenza nel giudizio ex abrupto, ai fini della contestazione orale dell'imputazione, richiesta dall'art. 451, comma 4.

La giurisprudenza (Cass. S.U.., n. 19/1991; Cass. V, n. 11589/2006) sembra tuttavia preferire l'opposto orientamento, secondo cui lo status detentionis non rientrerebbe tra le condizioni necessarie per il procedimento de quo.

Invero, l'art. 449, comma 3 — riguardante il rito direttissimo “contestuale” — subordina la transizione al giudizio esclusivamente all'intervenuta convalida, totalmente prescindendo dall'eventuale séguito cautelare.

Inoltre, l'art. 450, comma 1, prevede, alternativamente, la conduzione in udienza o la citazione dell'imputato (a seconda che lo stesso sia detenuto o libero), evitando di limitare al caso di confessione questa seconda modalità d'introduzione del rito. Comporterebbe, poi, un'ingiustificabile disparità di trattamento, sottoporre al rito ex abrupto l'arrestato destinatario di un provvedimento cautelare custodiale ed il reo confesso, escludendo invece tale procedura per altri casi.

Del resto, l'eventuale sottoposizione a misura cautelare custodiale non implicherebbe comunque, di per sé, la presenza dell'imputato in udienza, in modo da render possibile la contestazione orale delle accuse, essendo lo stesso libero di non comparire né all'udienza di convalida (art. 391, comma 3) né a quella dibattimentale (art. 490).

Posto, dunque, che lo status custodiae non costituisce un requisito necessario all'attivazione del rito ex abrupto, resta da stabilire come sia possibile contestare le accuse all'imputato in vinculis “renitente”.

Al riguardo, sono state proposte svariate soluzioni.

Con riferimento al giudizio direttissimo “contestuale”, si è sostenuto che la convalida costituisce titolo detentivo idoneo al trattenimento dell'imputato in aula, almeno sino alla contestazione delle accuse (Cass. VI, n. 2949/1992; contra, Cass. S.U., n. 10/1990): soluzione, questa, che appare peraltro difficilmente conciliabile con l'art. 13, comma 2, Cost., in assenza di una specifica previsione legale in merito, a fronte della riserva di legge stabilita da quest'ultima disposizione.

Si è proposto, in alternativa, di anticipare la contestazione dell'imputazione, rendendola precedente alla convalida; sennonché, l'arrestato potrebbe rifiutarsi di presenziare già a questo primo adempimento.

Si è altresì suggerito di far notificare anche all'imputato renitente la citazione a comparire, contenente le accuse; soluzione che potrebbe però risultare inconciliabile con le serrate cadenze del giudizio direttissimo “contestuale”.

Infine, si è sostenuta la sussistenza, in capo al P.m., di un potere di traduzione coattiva dell'imputato in udienza, ai fini della celebrazione del giudizio direttissimo: è quest'ultima la soluzione preferibile, in ragione della lettera dell'art. 450. Tale disposizione, secondo cui il P.m. «fa condurre l'imputato in udienza», individua uno dei “casi” nei quali è possibile una restrizione della libertà personale, mentre i relativi “modi” possono essere ricavati dall'art. 42-bis l. n. 354/1975 (ord. pen.), riguardante le traduzioni.

La confessione dell'imputato

L'ammissione degli addebiti, rendendo evidente la colpevolezza dell'imputato, giustifica l'immediatezza del giudizio.

Del resto, si potrebbe anche sostenere che la confessione legittimi il rito ex abrupto in quanto manifestazione di volontà dell'imputato, intesa all'accelerazione processuale. Da mere dichiarazioni di scienza, quindi, le ammissioni confessorie assurgerebbero a negozio giuridico processuale, dispositivo del rito.

Sennonché, appare improbabile che l'imputato confessi con il solo fine d'esser tratto rapidamente al dibattimento, quando potrebbe conseguire lo stesso risultato semplicemente rinunciando all'udienza preliminare, ex art. 419, comma 5, senza pregiudicarsi anche nel merito.

Se le dichiarazioni confessorie giustificano il rito direttissimo perché rendono evidente la prova, esse debbono possedere tutti i requisiti che assicurino la loro stessa credibilità. In particolare, devono essere spontanee, complete, intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili, apparentemente non strumentali o depistanti, non contrastate da altre risultanze di indagine. Solo in questo caso, difatti, sono superflui sia il compimento d'ulteriori indagini sia il controllo sulla fondatezza dell'imputazione in udienza preliminare.

Peraltro, il prolungamento fino a trenta giorni del termine per l'instaurazione del giudizio direttissimo, potrebbe consentire al P.m. di procedere ex abrupto anche qualora la confessione non presentasse immediatamente i caratteri di cui sopra. Infatti, oggi, l'inquirente ha più tempo per continuare ad indagare e “puntellare” meglio un'ipotesi accusatoria che le ammissioni dell'imputato non sono riuscite, per loro stesse, a rendere evidente. Peraltro, il fatto che il P.m. abbia dovuto svolgere ulteriori accertamenti per corroborare una confessione poco credibile, potrebbe far dubitare dell'evidenza del caso e rendere poco giustificabile l'omissione dell'udienza preliminare.

Come detto, la confessione giustifica il rito ex abrupto nella misura in cui rende evidente l'imputazione. Di conseguenza, un'eventuale ritrattazione intervenuta prima del giudizio, preclude la scelta del rito in questione soltanto se rende meno credibile la precedente dichiarazione; e, quindi, non più evidente la prova. Invece, se intervenuta dopo l'introduzione del giudizio direttissimo, la ritrattazione non ha alcun rilievo, se non per la decisione dei merita causae.

La confessione deve essere resa «nel corso dell'interrogatorio» condotto secondo il modello delineato dagli artt. 64 e 65; in particolare, quello effettuato dal P.m. o dalla P.g. all'uopo delegata, quale atto d'indagine, anche a séguito di presentazione spontanea dell'imputato; oppure dal giudice nei confronti dell'imputato sottoposto a misura cautelare o in sede di convalida dell'arresto o del fermo.

Restano escluse le informazioni rese alla polizia ex art. 350 nonché l'esame condotto in incidente probatorio o in un altro procedimento: in questi ultimi casi, difatti, non è garantito il rispetto dell'art. 65, che richiede — tra l'altro — la previa contestazione degli addebiti. Invero, solo una confessione resa con piena cognizione di causa e con l'adeguata assistenza difensiva, può costituire un significativo indice di colpevolezza, tale da giustificare il dibattimento ex abrupto.

L'assenza di grave pregiudizio per le indagini

Il novellato art. 449 ha subordinato l'instaurazione del giudizio direttissimo all'assenza di grave pregiudizio investigativo. Tale condizione negativa è stabilita solo con riguardo ai casi di rito ex abrupto conseguente ad arresto già convalidato o a confessione: soltanto per queste ipotesi, quindi, la novella del 2008 ha voluto rendere pressoché obbligatorio l'utilizzo del rito in questione; invece, l'instaurazione del giudizio direttissimo “contestuale” alla convalida è rimasto nella piena discrezionalità del P.m.

Il tenore della formula utilizzata induce a ritenere che il legislatore abbia inteso escludere l'obbligo di ricorso al giudizio direttissimo qualora l'anticipata pubblicità conseguente alla celebrazione del processo possa pregiudicare indagini ancora in corso, riguardanti eventuali concorrenti nel reato od autori di reati connessi. Lo stesso significato potrebbe attribuirsi anche all'identica locuzione figurante nell'art. 449, comma 6, riguardante le ipotesi di connessione, risultando così assicurata la piena coerenza tra le proposizioni di tale articolo.

Il direttissimo “atipico”

I casi

Il P.m. può promuovere il giudizio direttissimo anche fuori dai casi di evidenza della prova, ratione materiae, per una serie di reati indicati da leggi speciali.

Originariamente abrogati dall'art. 233, comma 1, disp. att. − con la sola eccezione, ex art. 233, comma 2 (dichiarato incostituzionale dalla sentenza Corte cost. n. 68/1991), di quelli in materia di armi ed esplosivi o di stampa − i giudizi direttissimi atipici sono stati, via via, reintrodotti dal legislatore.

Seppur sia stato esteso in misura assai minore di quanto già precedentemente avvenuto, vigente il codice del 1930, il rito speciale in oggetto è stato previsto laddove si proceda per i seguenti illeciti penali, salvo che siano necessarie «speciali indagini»:

a) reati concernenti armi ed esplosivi (art. 12-bis d.l. 8 giugno 1992, n. 306, come convertito dalla l. 7 agosto 1992, n. 356 e successivamente modificato dall'art. 51, comma 2, l. 16 dicembre 1999, n. 479);

b) genocidio, nonché una serie di reati in materia di discriminazione etnica, nazionale, razziale o religiosa (art. 6, comma 5, d. l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito in l. 25 giugno 1993, n. 205);

c) trasgressione del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (c.d. daspo), lancio di materiale pericoloso, scavalcamento ed invasione di campo, possesso di artifizi pirotecnici, nonché qualunque altro reato commesso durante od in occasione delle suddette manifestazioni (art. 8-bis l. 13 dicembre 1989, 401, inserito dall'art. 1, comma 1, lett. g, d.l. 20 agosto 2001, n. 336, convertito in l. 19 ottobre 2001, n. 377 e poi modificato dall'art. 4 d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, conv. in l. 4 aprile 2007, n. 41).

Il rito direttissimo è inoltre previsto, senza essere subordinato alla condizione della non necessità di speciali indagini, qualora si proceda per i reati di:

a) trasgressione dell'ordine d'espulsione od allontanamento impartito dal giudice come misura di sicurezza (artt. 235, ult. comma e 312, comma 2, c.p., come sostituiti dall'art. 1 lett. a/b d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in l. 24 luglio 2008, n. 125);

b) violazione del divieto di reingresso nel territorio dello Stato da parte dello straniero extracomunitario già espulso (art. 13, comma 13-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2-ter, lett. c, d.l. 14 settembre 2004, n. 241, convertito in l. 12 novembre 2004, n. 271);

c) trasgressione del divieto di reingresso nel territorio dello Stato da parte dello straniero comunitario, di cui sia stato ordinato l'allontanamento (art. 20, comma 16, d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c, d.lgs. 28 febbraio 2008, n. 32).

Il giudizio direttissimo ratione materiae era altresì previsto dall'art. 12, comma 4, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ove si fosse proceduto per i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di cui ai previgenti commi 1 e 3 del medesimo art. 12. l'art. 1, comma 26, l. 15 luglio 2009, n. 94, nel riformulare le fattispecie delittuose appena menzionate, ha eliminato la procedibilità ex abrupto per tali reati; per i quali è comunque previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (cfr. art. 12, comma 4, d.lgs. n. 286/1998, nel testo oggi vigente). Un ulteriore caso — anch'esso abrogato — di rito direttissimo “atipico” era previsto dall'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per i reati indicati nei precedenti commi 5-ter e 5-quater (trattavasi della violazione dell'ordine impartito dal questore di lasciare il territorio dello stato, nonché della sorpresa nel territorio nazionale dello straniero già espulso). l'art. 3, comma 1, lett. d, d.l. 23 giugno 2011 n. 89, convertito in l. 2 agosto 2011, n. 129, ha riformulato le fattispecie criminose appena indicate e ne ha attribuito la competenza al giudice di pace; dinanzi al quale, l'odierno art. 14, comma 5-quinquies, prevede l'utilizzo del c.d. rito “a presentazione immediata”.

La non necessità di speciali indagini

 Talune ipotesi di giudizio direttissimo atipico sono subordinate alla “non necessità di speciali indagini”, ossia di quelle attività investigative che, per complessità e durata, sono incompatibili con la celerità cui è improntato il rito direttissimo (Cass. I, n. 4978/2000). In particolare, il requisito negativo potrebbe essere inteso nel senso che il P.m. procede ex abrupto solo se non ha il bisogno di svolgere particolari ricerche al fine di determinarsi in ordine all'esercizio dell'azione penale, attesa l'originaria chiarezza degli elementi conoscitivi “a carico” dell'indagato. Così intesa, la condizione de qua potrebbe costituire un valido surrogato di quel requisito d'evidenza della prova che qualifica il giudizio direttissimo tipico. Inoltre, il magistrato inquirente deve altresì assicurarsi, attraverso un giudizio prognostico, che l'evidenza del quadro investigativo si traduca anche in una particolare semplicità dell'accertamento dibattimentale. Quanto ai casi di rito ex abrupto atipico non subordinati alla “non necessità di speciali indagini”, si tratta di ipotesi concernenti reati che − essendo integrati dalla mera presenza dello straniero nel territorio dello Stato − appaiono semplici da accertare; di conseguenza, in ragione di ciò, sembra giustificata la mancata previsione del presupposto in oggetto.

I termini per promuovere il rito ex abrupto

Il P.m. può presentare l'arrestato in flagranza dinanzi al giudice dibattimentale, per la convalida ed il contestuale giudizio, entro quarantotto ore dall'intervento precautelare. In alternativa, qualora l'arresto sia stato già convalidato o sia intervenuta confessione, l'inquirente deve assumere l'iniziativa diretta ad instaurare il rito de quo entro trenta giorni, decorrenti secondo quanto si dirà a breve. Nell'ottica del “codice Vassalli”, quest'ultimo termine − originariamente fissato in quindici giorni − avrebbe dovuto essere inteso come tempo utilizzabile dal P.m. non per indagare “a tutto tondo”, bensì soltanto per saggiare l'effettiva concludenza probatoria della flagranza o della confessione; in mancanza di questa situazione preistruttoria, l'inquirente si sarebbe dovuto astenere dal procedere ex abrupto. Tuttavia, il prolungamento — attuato dal d.l. n. 92/2008 — dei termini per instaurare il dibattimento ex abrupto, consente oggi di procedere “per direttissima” anche con riferimento a fattispecie concrete inizialmente poco chiare, ma suscettibili di adeguata integrazione attraverso il tempestivo esercizio di un congruo potere investigativo. Quanto alla decorrenza del termine per l'instaurazione del giudizio direttissimo, ove si proceda contro una persona il cui arresto sia stato già convalidato, il dies a quo è quello del provvedimento precautelare. Per quanto concerne, invece, il caso in cui si persegua un indagato confesso, l'art. 449, comma 5, fa riferimento alla data d'«iscrizione nel registro delle notizie di reato». Sennonché, può accadere che la notitia criminis venga iscritta prima a carico di ignoti e solo successivamente anche sotto il nome dell'indagato. Va peraltro evidenziato che, se si facesse decorrere il termine da quest'ultima iscrizione “nominativa”, coerentemente con le disposizioni generali sulla decorrenza dei termini investigativi di cui agli artt. 405 e 553, si determinerebbe una conseguenza paradossale: vi sarebbero casi nei quali il giudizio direttissimo potrebbe essere instaurato, mentre è già spirato il termine per chiedere il rito immediato; quest'ultimo periodo decorre, infatti, dalla data d'iscrizione della notizia di reato e non da quella in cui è successivamente registrato il nominativo dell'indagato. Appare dunque preferibile far decorrere il termine de quo dall'iscrizione della notizia di reato, anche se a carico di ignoti. Controverso, a proposito dei giudizi direttissimi atipici, è se occorra o meno che siano rispettati i termini codicistici per il rito ex abrupto.

Stando alla prevalente giurisprudenza (Cass. I, n. 26773/2005), l'instaurazione del giudizio, nei suddetti casi, non sarebbe soggetta ai termini prescritti dall'art. 449, commi 4 e 5. Infatti, la clausola con la quale la legislazione speciale solitamente introduce la previsione del giudizio ex abrupto («fuori dai casi previsti dall'art. 449 c.p.p. ») avrebbe il significato di derogare anche le scadenze fissate dal codice di rito penale e di lasciare, così, il P.m. soggetto solo agli ordinari termini investigativi, di cui agli artt. 405 e ss. c.p.p.. Sembra, tuttavia, preferibile l'opposto orientamento (Cass. VI, n. 35828/2006) per il quale l'instaurazione del giudizio direttissimo atipico è consentita soltanto entro i termini di cui all'art. 449, commi 4 e 5, onde limitare l'applicazione del rito in oggetto alle sole situazioni in cui l'evidenza del caso rende più facile l'accertamento, permettendo d'iniziare subito il dibattimento; si potrebbe così recuperare l'istituto, anche in queste ipotesi “atipiche”, all'ambito dell'evidenza probatoria. Del resto, se nelle leggi speciali si è prevista l'applicazione del rito ex abrupto, con ciò, ci si è voluti pur sempre riferire a questo procedimento così come configurato dalla disciplina codicistica; nell'ambito della quale, esso si presenta come un rito snello in ragione della semplicità dell'accertamento. In ogni caso, la violazione da parte del P.m. del termine per la presentazione dell'imputato al giudice per il procedimento con il rito direttissimo, non comporta una nullità di ordine generale, ma relativa, che, in quanto tale, deve essere dedotta e nei termini di cui all'art. 491, comma 1, rientrando fra quelle previste dall'art. 181 stesso codice (Cass. VI, n. 34558/2014).

Il giudizio direttissimo obbligatorio

Per l'art. 449, comma 1, il P.m. “può” procedere al giudizio direttissimo contestualmente alla convalida dell'arresto; ai sensi dei successivi commi 4 e 5, come “novellati” nel 2008, l'inquirente “procede” ex abrupto nel caso di arresto in flagranza già convalidato o di confessione (salva l'evenienza di grave pregiudizio per le indagini). Parte della giurisprudenza ritiene che il novellato testo dell'art. 449 non intacchi il monopolio del P.m. in ordine alla scelta del rito (Cass. II, n. 36656/2010); altra giurisprudenza ritiene che, sebbene la legge sembri oggi prevedere un formale obbligo di procedere per direttissima, tale dovere non sia assoluto, mancando al riguardo qualsiasi comminatoria processuale ed occorrendo comunque l'assenza di grave pregiudizio investigativo (Cass. III, n. 12573/2010). In realtà, la questione va risolta tenendo conto della posizione istituzionale ricoperta dal P.m., non depositario d'una vera e propria libertà di scelta, in quanto tenuto comunque a perseguire l'interesse pubblico: di conseguenza, in un sistema che tende all'accelerazione procedimentale ed all'economia processuale, l'inquirente deve inderogabilmente procedere ex abrupto ogni qual volta l'accusa appaia già pronta per il vaglio dibattimentale; sussiste, semmai, in capo all'inquirente, una mera discrezionalità tecnica, riguardante la valutazione circa la facilità del caso.

Il giudizio direttissimo “contestuale”

Il giudizio direttissimo nei confronti degli arrestati può assumere una tra due forme: la prima “contratta”, “contestuale” alla convalida (artt. 449, commi 1 e 3); la seconda “differita” (art. 449, comma 4). Nella prima ipotesi, il P.m., entro le quarantotto ore successive all'intervento di polizia, fa condurre l'imputato in stato di arresto direttamente davanti al giudice dibattimentale. A quest'ultimo, il P.m. richiede la convalida del provvedimento precautelare, affinché l'organo giurisdizionale decida in proposito secondo le disposizioni di cui all'art. 391, in quanto applicabili. Se l'arresto è convalidato, segue subito il giudizio. Qualora l'arresto non sia convalidato, sarà possibile procedere comunque immediatamente al giudizio, se vi sia accordo fra le parti: altrimenti, il giudice restituirà gli atti all'inquirente, che potrà esercitare l'azione penale in altre forme (in quelle, cioè, del rito immediato, oppure in quelle del procedimento ordinario). Peraltro, ove si considerasse l'azione penale esercitata già all'atto della presentazione dell'imputato davanti al giudice, al P.m. dovrebbe ritenersi ormai preclusa la strada dell'archiviazione, in forza del principio d'irretrattabilità desumibile dall'art. 112 Cost. ed espressamente sancito dall'art. 50, comma 3.

Suscita perplessità la concentrazione di competenze in capo al medesimo giudice, chiamato a decidere sia in merito alla convalida (ed al séguito cautelare) che nel merito. Invero, potrà risultare pregiudicata l'imparzialità del giudice, se a questi venga, preventivamente, richiesto di decidere in ordine alla convalida dell'arresto e sulla cautela; ossia, in buona sostanza, di anticipare un giudizio di colpevolezza dell'imputato, per giunta sulla base delle risultanze investigative (talune delle quali, invece, dovrebbero rimanergli ignote). Difficile, infatti, ritenere che tali valutazioni preliminari non condizionino il giudicante nella successiva decisione riguardante i merita causae (in senso contrario, Corte. cost. n. 177/1996; Corte. cost. n. 90/2004; in un obiter dictum: Cass. S.U., n. 44711/2004, secondo cui non può esser configurata una menomazione dell'imparzialità del giudice che, nella stessa fase processuale di cui è investito, adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso; successivamente, Cass. VI, n. 16261/2015, secondo cui il giudice della convalida dell'arresto in flagranza non è incompatibile allo svolgimento del contestuale giudizio direttissimo, dal momento che la convalida dell'arresto è un atto prodromico al giudizio, e non costituisce una pronuncia autonoma tale da determinare pregiudizio). Inoltre, la convalida della misura precautelare da parte del giudice dibattimentale sembra comportare una sottrazione dell'indiziato al suo giudice naturale, allorché l'arresto sia avvenuto in un luogo diverso da quello di commissione del reato. In tale ipotesi, il controllo sull'operato della polizia dovrebbe essere condotto nella località stessa dell'intervento precautelare. Infine, sembra pregiudicato il principio della legale precostituzione del giudice. L'affidamento al P.m. dell'opzione tra la convalida “ordinaria”, davanti al G.i.p., e quella “contestuale” al giudizio, dinanzi al giudice dibattimentale, consente alla parte pubblica di scegliere chi si pronuncerà sulla convalida stessa.

Il giudizio direttissimo “differito”

Nello stesso caso di arresto in flagranza, il P.m. può rivolgersi, per la convalida in via “ordinaria”, al G.i.p.; e, ottenuta questa, procedere ex abrupto, presentando l'imputato al giudice dibattimentale entro trenta giorni dall'arresto. In tal caso, la “presentazione” dell'imputato al giudice può avvenire in due forme alternative, a seconda che questi sia in stato di custodia oppure in stato di libertà.

Nel primo caso, il prevenuto viene fatto condurre, anche coattivamente, in udienza dal P.m. Se libero, il medesimo viene invece citato dal magistrato inquirente, mediante la notifica d'un apposito decreto, recante la contestazione scritta dell'imputazione; solo in questo caso, l'accusato ha diritto ad un termine minimo di tre giorni per comparire, con una conseguente disparità di trattamento rispetto agli imputati in vinculis, che possono essere presentati al giudice senza alcun obbligo di preavviso.

Le medesime forme sono previste per l'instaurazione del rito nei confronti dell'imputato confesso.

Connessione con altri reati per i quali mancano le condizioni per l'instaurazione del giudizio direttissimo

In base al disposto dell'art. 449, comma 6, allorché il reato per il quale si è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, “si procede separatamente” per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati. La ratio di tale disposizione è evidentemente quella di far sì che la vicenda processuale possa risolversi in tempi rapidi. Quanto alla clausola di riserva “salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini”, è dubbio se sia da ritenersi rivolta al P.m., quale unico legittimato ad apprezzare l'esistenza di eventuali condizioni ostative alla separazione ovvero se spetti al giudice di merito l'irrinunciabile compito di controllo in ordine alla necessità, per l'accertamento dei fatti, di una definizione separata dei procedimenti.

Per la giurisprudenza le soluzioni possibili sono soltanto la separazione ovvero, qualora la trattazione unitaria sia ritenuta indispensabile, la prevalenza del rito ordinario, con esclusione, quindi, della possibilità che, postulandosi una vis actractiva, basata sulle regole della connessione, dei reati per i quali è richiesto il giudizio direttissimo, possa essere quest'ultimo a prevalere anche con riguardo ai reati connessi (Cass. I, n. 6943/1997; Cass. fer., n. 36528/2008).

Non è affetto da abnormità il provvedimento con cui, nel giudizio direttissimo, il giudice, ex officio, disponga la separazione per i reati in relazione ai quali mancano le condizioni per procedere con tale rito, atteso che il provvedimento, pur illegittimo, costituisce espressione di un potere riconosciuto dall'ordinamento e non determina un'indebita stasi processuale, potendo il P.m. procedere nuovamente all'esercizio dell'azione penale (Cass. IV, n. 46122/2022).

Non è affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice, dichiarata la nullità del giudizio proposto con rito direttissimo ai sensi dell'art. 12-bis del d.l. n. 306 del 1992 per un reato per cui non è ammesso tale rito, disponga la restituzione degli atti al P.m., in quanto il procedimento può riprendere con l'attivazione del giudizio ordinario, senza che si determini alcuna stasi del procedimento stesso (Cass. V, n. 32098/2024, in fattispecie in tema di di lesioni aggravate dall'uso di una spranga di ferro, in cui la Corte ha evidenziato che nella nozione di «reati concernenti le armi e gli esplosivi», in relazione ai quali è prevista l'adozione del rito direttissimo, rientrano solo quelli che direttamente concernono le attività - quali detenzione, porto, trasporto, importazione - aventi come oggetto le armi e non anche quelli in cui l'arma rilevi come dato meramente circostanziale).

Nel caso, infine, di reati collegati ai sensi dell'art. 371, comma 2, si ritiene che, qualora il P.m. abbia irritualmente promosso il giudizio direttissimo per taluni di essi, non sussistendo la necessità di trattazione unitaria degli stessi, il giudice debba in ogni caso disporre la separazione per quelli in relazione ai quali non esistono le condizioni che legittimano tale rito.

Casistica

Anche a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, con cui è stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE sull'assistenza linguistica, è legittima la convalida dell'arresto dello straniero alloglotta, senza che si sia previamente proceduto al suo interrogatorio per l'impossibilità di reperire tempestivamente un interprete, ricorrendo in tale eventualità un caso di forza maggiore che non impedisce la decisione del giudice sulla legittimità dell'operato della P.g. (Cass. IV, n. 4649/2015).

Il legittimo impedimento che non permette la presenza fisica dell'arrestato all'udienza non è ostativo alla richiesta di convalida dell'arresto e contestuale giudizio direttissimo, presentata ai sensi dell'art. 558 (Cass. VI, n. 53850/2014).

Nel giudizio direttissimo instaurato a seguito di convalida dell'arresto, l'imputato rimesso in libertà non presente all'udienza fissata a seguito della concessione dei termini a difesa è da considerare assente (Cass. VI, n. 3802/2017).

Nel giudizio direttissimo non trova applicazione la disposizione di cui all'art. 521-biscon la conseguenza che, in caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che determini l'attribuzione del reato alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale, il G.m. deve disporre la trasmissione degli atti in via orizzontale a quest'ultimo e non al P.m., anche quando, a seguito della diversa configurazione, il reato rientra fra quelli per cui è prevista l'udienza preliminare (Cass. V, n. 24006/2014).

È abnorme il provvedimento di restituzione al P.m. degli atti del giudizio direttissimo instaurato ai sensi dell'art. 13, comma 13-ter, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, adottato sul presupposto del mancato rispetto dei termini che il codice di rito prevede per il giudizio direttissimo cosiddetto ordinario, atteso che la disposizione citata dispone, per i casi da essa contemplati, l'inderogabile obbligatorietà della celebrazione del processo nelle forme del rito direttissimo (Cass. I, n. 9685/2014).

È abnorme il provvedimento di restituzione al P.m. degli atti del giudizio direttissimo di cui all'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998, adottato sul presupposto del mancato rispetto dei termini che il codice di rito prevede per l'instaurazione del giudizio direttissimo cosiddetto ordinario (Cass. I, n. 22790/2009).

Nel giudizio direttissimo conseguente a convalida dell'arresto, la presenza dell'imputato all'udienza fissata a seguito della concessione dei termini a difesa è irrilevante ai fini della regolarità del rapporto processuale, instauratosi alla prima udienza (Cass. VI, n. 23845/2013).

In tema di patteggiamento conseguente a giudizio direttissimo, il principio secondo cui le spese di mantenimento in carcere dell'imputato durante la custodia cautelare devono essere poste a suo carico non si applica nel caso in cui l'arresto in flagranza non sia stato convalidato, atteso che tale onere non può derivare da un provvedimento restrittivo divenuto ex lege inefficace (Cass. VI, n. 43368/2016).

Una volta instaurato il giudizio direttissimo sulla base di un arresto in flagranza regolarmente convalidato, è abnorme il successivo provvedimento del giudice che, rilevato di ufficio un vizio nell'udienza di convalida (nella specie, omesso avviso al difensore di fiducia), disponga la restituzione degli atti al P.m. perché proceda con le forme ordinarie (Cass. VI, n. 6245/2012).

E' affetto da abnormità strutturale e funzionale, in quanto adottato in carenza di potere ed idoneo a cagionare un'indebita regressione del procedimento, il provvedimento, emesso fuori udienza, con cui il presidente di sezione del tribunale, senza essersi pronunziato sulla richiesta di convalida dell'arresto in flagranza e di giudizio direttissimo, restituisce gli atti al P.m. sul rilievo che non era stato previsto un turno per la celebrazione collegiale del richiesto giudizio direttissimo (Cass. II, n. 8012/2024).

È inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento con il quale viene disposto il giudizio direttissimo all'esito della convalida dell'arresto (Cass. VI, n. 40924/2011, in motivazione la S.C. ha precisato che le doglianze avverso il citato provvedimento devono essere proposte al giudice del merito, la cui decisione è poi suscettibile di essere impugnata con la sentenza).

Lo svolgimento del processo con rito direttissimo rende inapplicabile l'istituto della sospensione dei termini nel periodo feriale, anche in assenza di espressa rinuncia (Cass. III, n. 19982/2011).

Non dà luogo a nullità la mancata concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo richiesto dopo che l'imputato abbia optato per uno dei riti alternativi, giudizio abbreviato o applicazione di pena su richiesta (Cass. V, n. 21573/2010).

In sede di convalida dell'arresto il giudice può attribuire al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dal P.m., ai limitati effetti del giudizio di convalida, in quanto rientra tra i suoi poteri di controllo quello di individuare in concreto l'ipotesi di reato al fine di stabilire se sia consentito l'arresto in flagranza (Cass. V, n. 14314/2010).

Non è applicabile la disciplina prevista dall'art. 27 nel caso in cui il giudice non convalidi l'arresto e riscontrando, stante il mancato consenso dell'imputato, l'impossibilità di procedere a giudizio direttissimo, restituisca gli atti al P.m., ex art. 449, comma 2, in quanto la necessità di rinnovazione della misura cautelare, in virtù del disposto di cui all'art. 27, opera soltanto quando il giudice che deve emettere il nuovo provvedimento sia diverso da quello incompetente. Ne consegue che qualora, invece, il nuovo provvedimento sia emesso dal G.i.p. appartenente allo stesso Tribunale il cui giudice del dibattimento abbia applicato la misura e disposto la regressione del procedimento, l'identità dell'ufficio giudiziario comporta che non ricorrano gli estremi della incompetenza di cui all'art. 27 (Cass. V, n. 18075/2010).

Nell'ipotesi in cui il giudizio direttissimo non possa essere celebrato per la mancata comparizione dell'imputato, legittimamente impedito, il giudice deve restituire gli atti al P.m. perché proceda a chiedere al G.i.p. la convalida dell'arresto, non potendo avere seguito l'eventuale richiesta di applicazione della misura cautelare, per difetto di instaurazione del rapporto processuale, con la conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all'art. 391, comma 3 (Cass. IV, n. 26450/2009).

Nel giudizio di legittimità non può essere fatta valere la nullità del giudizio direttissimo per vizi inerenti all'interrogatorio che precede la convalida dell'arresto, nel caso in cui l'ordinanza di convalida non sia stata impugnata (Cass. IV, n. 18968/2009, in fattispecie nella quale l'interrogatorio di convalida era stato dichiarato nullo, ma soltanto a fini cautelari, dal Tribunale del riesame per omissione degli avvisi ex art. 64).

In tema di convalida dell'arresto nel periodo di emergenza sanitaria da Covid-19, i vizi procedurali afferenti alla partecipazione dell'indagato all'udienza celebrata in videoconferenza ai sensi dell'art. 83, comma 12-bis, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, integrano una nullità di ordine generale a regime intermedio, a norma degli artt. 178, lett. c) e 180, che resta sanata per intempestiva deduzione ove non eccepita dalla parte interessata prima del compimento dell'atto ovvero, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo, exart. 182, comma 2 (Cass. VI, n. 22528/2020, in fattispecie in cui, a fronte del motivo di ricorso con il quale si deduceva che l'udienza era iniziata senza la presenza di tutte le parti e che l'arrestato non era stato messo in condizione di assistere alla relazione svolta dalla polizia giudiziaria, la Corte ha rilevato che il difensore, pur essendo presente, non aveva sollevato alcuna eccezione).

La presentazione del cittadino straniero in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo preclude la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 13, comma 3-quater d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, in caso di sopravvenuta espulsione, essendo già instaurato il rapporto processuale (Cass. V, n. 30522/2021).

In caso di arresto in flagranza per il reato di cui all'art. 13, comma 13, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, è abnorme il provvedimento con cui il tribunale restituisca gli atti al P.m. sul rilievo dell'inosservanza del termine di ventiquattro ore per la messa a disposizione dell'arrestato al giudice della convalida, atteso che tale provvedimento impedisce al P.m. di dar corso all'obbligatoria instaurazione del giudizio direttissimo atipico previsto dal comma 13-ter del suddetto art. 13 (Cass. I, n. 42096/2019).

È abnorme il provvedimento con cui il giudice, investito della richiesta di giudizio direttissimo ex art. 558, dopo aver provveduto alla convalida dell'arresto per il delitto di furto aggravato, avendo escluso le aggravanti contestate, disponga la restituzione degli atti al P.m. per la mancanza di querela, in quanto, non essendo ancora scaduti i termini per la proposizione della querela, la carenza istruttoria, che non rientra tra i presupposti del rito direttissimo, ben può essere colmata nel corso del giudizio, nel quale il P.m. può far valere la sussistenza delle circostanze escluse dal giudice (Cass. V, n. 34320/2020).

È abnorme il provvedimento con cui il giudice monocratico, in sede di giudizio direttissimo ed a seguito di nuova contestazione che comporti l'attribuzione del fatto alla decisione del tribunale in composizione collegiale, disponga la trasmissione degli atti al presidente di sezione per l'assegnazione al collegio e successivamente, con separata ordinanza resa fuori udienza, la trasmissione degli atti al P.m. (Cass. VI, n. 44650/2019, in cui si è precisato che la restituzione degli atti al P.m., oltre a porsi in contrasto con il precedente provvedimento adottato, determina una indebita regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, consentita nei soli casi in cui il giudizio direttissimo risulti proposto fuori dei casi previsti dall'art. 449). 

È strutturalmente abnorme il provvedimento con cui il giudice, investito della richiesta di convalida dell'arresto e di giudizio direttissimo, dopo aver provveduto alla convalida, senza alcuna motivazione disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché proceda al giudizio nelle forme ordinarie, in tal modo determinandosi una indebita alterazione della sequenza degli atti del procedimento, in violazione del principio di ragionevole durata del processo (Cass. VI, n. 30600/2024).

Il procedimento di convalida dell'arresto in flagranza dinanzi al tribunale in composizione monocratica può svolgersi anche nel caso in cui gli agenti o gli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno eseguito la misura precautelare non possano effettuare, per una qualsiasi ragione, la relazione orale prevista dall'art. 558, comma 3, potendo, in tal caso, essere utilizzati, purché ritualmente trasmessi, il verbale di arresto e la relazione di servizio redatti dagli operanti, in ragione del richiamo alla previsione dell'art. 122 disp. att. operato dall'art. 558, comma 4, o comunque, ove predisposta e trasmessa, la relazione scritta dei predetti, in quanto ciò che il procedimento in oggetto intende assicurare non è l'oralità della relazione afferente l'eseguito arresto, ma la celere definizione della convalida, consentendo la presentazione dell'arrestato anche prima della scadenza del termine di ventiquattro ore previsto dall'art. 386, comma 3 (Cass. VI, n. 31173/2023).

Bibliografia

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